Il viaggio è stato lungo. Ora che si è concluso avverte la nostalgia?
"Un po' c'è. La tristezza è però attenuata dalla felicità per essere
riuscito a mettere la società nelle mani giuste, come era nei miei
progetti. Il club ha così ha la possibilità di continuare un percorso di
alto livello".
Non era scontato riuscirci...
"Assolutamente, viste le difficoltà del momento storico. Grande merito
della cessione va anche ad Alessandro Dalla Salda che avevo contattato
già nell'autunno 2019. Sono particolarmente felice che Dalla Salda, con
cui avevo condiviso il 99% della mia storia in Pallacanestro Reggiana,
sia tornato a casa. Sono sicuro che sia un valore aggiunto".
Assieme a Dalla Salda ha avuto anche altri importanti compagni di viaggio: Ivan Paterlini e Maria Licia Ferrarini.
"Pur essendo stato per diversi anni l'unico patron del club, il lavoro
che ho fatto non è mai stato solitario. Ivan e Licia mi hanno sempre
affiancato. Sono stati i presidenti negli anni delle finali due scudetto
quando, pur non avendo alcun interesse finanziario o economico nel
club, mossi da amicizia e passione hanno condiviso con me le gioie e i
dolori. Tutti e tre non vediamo l'ora di tornare a vedere una partita a
Reggio. Speriamo che questo avvenga nei tempi previsti".
Ha visto passare centinaia di giocatori e una ventina di allenatori. Chi le è rimasto particolarmente nel cuore?
"Purtroppo non ho avuto modo di conoscere Basile che, nel momento del
mio arrivo, lasciava Reggio per approdare alla Fortitudo. Ce ne sono
stati tanti. Su tutti dico Della Valle, uno dei primi a scrivermi quando
ho annunciato l'addio, Polonara, Alvin Young, Rimas Kaukenas. Poi gli
allenatori: Max Menetti con cui ho un contatto costante, Franco
Marcelletti e Fabrizio Frates che ci riportò in A. Ricordo sempre con
piacere anche il ds Alessandro Frosini".
La crescita di Pallacanestro Reggiana impose alla città una riflessione
profonda sull'impiantistica sportiva che è poi sfociata nel lungo e
complesso restyling del Pala Bigi. Lei alla metà degli anni 2000
presentò il progetto per un palasport (il "Sigaro") che avrebbe dovuto
sorgere a Mancasale. Progetto poi bocciato. Rimpianti per quell'impianto
mai sorto?
"Fu un'occasione persa, all'epoca. C'erano tutte le condizioni per poter
realizzare quel nuovo impianto, ma l'amministrazione la ritenne
un'operazione non sostenibile. Per contro non ho mai nascondo il mio
apprezzamento per un palasport in centro come il Bigi. Quando si parla
di impianti sportivi che devono contenere cinquemila persone, oltre che
una serie di servizi, non è semplice poterli riadattare. Speriamo che il
risultato finale sia buono". Lo sviluppo del club passa da lì?
"Sì. La questione dell'impiantistica non è banale. Oggi la gente ha
voglia di andare a vedere uno spettacolo sportivo in sicurezza, potendo
usufruire di servizi adeguati. Ci si è sempre focalizzati sulla
capienza, ma c'è anche altro che non va sottovalutato. In futuro
potremmo immaginare di avere a Reggio due impianti con caratteristiche
diverse, in zone diverse della città come ha Bologna con Pala Dozza e
Unipol Arena".
Non si correrebbe poi il rischio di creare cattedrali semideserte?
"A livello di basket è un cerchio che si chiude: se riesci a fare una
buona squadra, allora l'interesse c'è e la gente viene a palazzo.
Abbiamo riempito le piazze nei momenti d'oro. Tutti sanno che il basket a
Reggio è un'eccellenza sportiva".
Ora l'eccellenza Pallacanestro Reggiana è finita in altre mani. C'è continuità rispetto al percorso che lei ha compiuto?
"Ne sono sicuro. In più abbiamo garantito questa continuità in un
contesto reggiano. Non era scontato. Anzi, era molto difficile. Più di
un anno fa, a me si sono aggiunti altri quattro soci: appassionati,
reggiani e imprenditori. Timidi contatti, confesso, che li avevo avuti
anche con qualche fondo straniero. Non ho però dato seguito a quei primi
approcci perché in quei momenti stavamo già mettendo insieme la
mini-cordata reggiana". Reggianità come valore aggiunto?
"La reggianità non è un passaporto, né una casta. È un valore che dice
quanto la città di Reggio e gli imprenditori reggiani siano attaccati a
questa realtà. In questo momento Veronica Bartoli ha il largo controllo
della società. Dall'esterno mi sembra di vedere che siano ugualmente
importanti anche gli altri due soci rimasti: Graziano Sassi ed Enrico
San Pietro, ma da un certo punto di vista anche Andrea Baroni (socio
uscito assieme a Landi pochi giorni fa, ndr). L'auspicio è che si
replichi il triumvirato e che, come accaduto con il Pat, la Licia e io,
resista a lungo". E magari finisca l'opera?
"Lì serve anche tanta fortuna, oltre a investimenti e chimica. Anche se
non abbiamo vinto lo scudetto, io in quelle due finali ho sempre visto
il bicchiere mezzo pieno. Una volta può succedere, due consecutive no.
Vuole dire che hai costruito qualcosa di robusto. Auguro ai nuovi soci
di andare avanti, senza mettere alcun tipo di pressione". Cosa consiglia
loro?
"Di parlar chiaro e cercare di rimediare subito agli errori. Allora il
tifoso ti apprezzerà e ti seguirà. In Pallacanestro Reggiana i ruoli
sono sempre stati definiti. Io non ho mai interferito in scelte che non
mi competevano: né con l'ad, né con i ds, né con gli allenatori. In
altri casi il padre-patrone funziona, qui si è sempre ragionato
diversamente. I panni sporchi li abbiamo sempre lavati in casa. Le
polemiche non sono mai uscite dai nostri uffici. Tutto ciò ha reso
l'ambiente stabile".
Sente la riconoscenza della città per quanto fatto?
"L'ho sentita moltissimo da parte dei tifosi e della città. L'ho sempre
sentita anche quando la squadra andava male e si rischiava. La vicinanza
l'ho sentita ancora di più quando ho annunciato l'intenzione di
lasciare. Mi ringraziano in tanti e a tutti rispondo che devo essere io a
dire grazie a chi ci ha sempre seguito".
Come sono stati negli anni i rapporti con le istituzioni?
"Ho avuto la possibilità di collaborare con gli amministratori già
durante l'era Spaggiari, poi ho proseguito con Delrio e quindi con
Vecchi. Non abbiamo mai avuto grossi interessi comuni, i temi sono
sempre stati quelli relativi all'impiantistica. Disponibilità e affetto
sono sempre state grandi: erano proprio i sindaci i primi a chiamarmi
sul cellulare dopo le imprese sul campo. Abbiamo ricevuto tanti onori,
dalla consegna del Primo Tricolore a molti altri".
Rifarebbe tutto quello che ha fatto?
"Confesso che quando entrai al Bigi in quella mitica partita con Cantù
dell'ottobre 1998, non pensavo di continuare per oltre vent'anni e che
per un periodo lungo avrei poi tenuto in mano la società da solo. È
stato un periodo bello. Un pezzo di vita in cui sono state più le
soddisfazioni delle delusioni".
A livello professionale l'ha in qualche modo aiutata il percorso fatto con la Pallacanestro Reggiana?
"La mia crescita professionale si è sviluppata su altre strade. Quando
però si ricoprono ruoli pubblici, sono stato anche presidente di
Unindustria e ora commissario straordinario di Camera di Commercio, si
presenta la possibilità di conoscere tante persone e confrontarsi. Anche
grazie alla pallacanestro le mie conoscenze si sono arricchite. Negli
anni ho conosciuto colleghi illustri, come ad esempio i Benetton e gli
Snaidero".
Consiglierebbe a un giovane imprenditore questa esperienza?
"Sicuramente per tutte le esperienze e conoscenze che si fanno. È un
mondo diverso rispetto a quello delle società di capitale ma come
esperienza è molto utile".
Ora ne è fuori, ma ha comunque un'idea dei possibili sviluppi del mondo sportivo italiano?
"Purtroppo adesso non c'è auto-sostenibilità delle società e non
intravedo all'orizzonte cambiamenti che possano indirizzare il cammino
in tal senso. Chi entra oggi nel basket deve mettere in conto di mettere
mano al portafoglio".
Utopia arrivare a una società auto-sostenibile?
"Non è utopia, ma è molto difficile. Anche nel calcio a parte qualche
realtà, la vedo dura. Bisognerebbe rivoluzionare tutto: bloccare le
retrocessioni per un periodo di quattro o cinque anni e creare una lega
chiusa sul modello NBA. L'impiantistica è poi una chiave importante. La
solidità dovrebbe arrivare non solo da sponsor e botteghini ma anche dai
diritti televisivi. Questo potrebbe essere possibile solo se ci fosse
molto più interesse attorno al movimento. Si pensa sempre a quanto si
può incassare, siamo invece un momento in cui si deve pensare a
investire. Se le tv non fanno la fila per accaparrarsi i diritti del
campionato di serie A di basket, vuol dire che non ha abbastanza appeal.
Per crescere bisognerebbe arrivare anche a togliere i vincoli relativi
ai passaporti".
Parla da presidente di Lega. È nei suoi piani?
"No (ride, ndr). Ho troppi capelli bianchi e troppi impegni. Un altro
ruolo nello sport? Per ora no, ma mai dire mai. Adesso mi godo questa
fase da tifoso, con l'augurio che i nostri nuovi proprietari si tolgano,
e ci facciano togliere, tante soddisfazioni. Io sono solo un tifoso,
uno dei tanti, che però ha avuto la fortuna di essere stato per lungo
tempo nella stanza dei bottoni".
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